23 novembre 2009

LA REPUBBLICA IN DIPENDENTE HA CAMBIATO SITO

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CARI CONCITTADINI
IL NUOVO LINK DELLA
"REPUBBLICA INDIPENDENTE"
DA OGGI E':


vi aspetto di là.

Un abbraccio.

20 novembre 2009

CHIANTI

E' giunta la sera, calata la notte.
I pensieri ormai vagano spersi
nell'ombra viscosa del tempo.

Senza colore. Solo nel grigio,
nel bruno del sangue,
sfioriscon le stelle del cielo di notte.

E' notte. E' finita la sera.
Il silenzio alle stelle
innalza una muta canzone.



Solo il rosso brilla
tra i fuochi di festa
nella notte di sangue.

Il fiume denso. Confuso,
il fumo alto. La vita, ormai,
conclude il suo viaggio.

La macchina, la leva, il vapore,
mostri fumanti e affamati
divorano, a quest'ora, il pasto ferale.



L'umile bestia è asservita.,
doma al mostro impietoso.
Singulta la povera ombra.

Nulla sazia la belva che rugge,
e alto l'urlo ferino si leva.
Mentre oscura è sparita, Selene.

Silenzio di morte, irreale.
Silenzio. Singhiozza il turbine
del vasto mantice che soffia.



Silenzio spezzato dai canti.
Inni di folle si levano. Peana.
Urla di morte. Pianti. Lamenti.

Le folle non son che umili masse.
Dolenti offerte al tempio trionfante.
Carni alla belva. Sacrifici di sangue.

Pianti di madri. Urla d'infanti.
Carni straziate a passo trionfale.
Una folla s'avanza all'ultima meta.



Il mostro si erge, si eleva.
Poi rutta le vampe
sul popolo in marcia.

Il puzzo d morte
si eleva. Si erge
il canto di morte.

A passo trionfale
corron le folle
al Gorgo trionfante.



Cosa resta di loro?
Un suono, un sorriso,
un sogno mai domo.

Un riso, una donna,
un bacio. Promesse.
Un seno. Carezze.

Dei figli. Un futuro radioso.
Un mostro. La fame.
La morte. Un sogno negato.



La ruota si gira, si volta.
La notte si oscura.
Si spengono gli astri.

Si posa Selene.
Si oscura ogni varco.
Si spegne ogni sogno.

E' notte. Col sonno,
il rosso del sangue
è confuso col chianti.

18 novembre 2009

NASCITA DI VENERE

di Pierpaolo Pasolini

ALLA BANDIERA ROSSA
Per chi conosce solo il tuo colore,
bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché lui
esista:
chi era coperto di croste è coperto di
piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese
africano,
l'analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore,
bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi
sensi:
tu che già vanti tante glorie borghesi e
operaie,
ridiventa straccio, e il più povero ti
sventoli.
La vita del poeta è una vita speciale.
Il poeta può essere un cantante, oppure un vero poeta che scrive poesie.
Il poeta usa usa le parole perchè sente il bisogno di dire agli altri quello che ha dentro.
Lo fa perchè ha un bisogno egoistico di dire. Ha lo stesso bisogno che hanno i bambini di dire.
Perchè dire significa usare un potere magico, il potere di dare vita alle cose.
Lo facevano anche gli antichi, e continuano a farlo ancora gli sciamani.
Gli antichi, gli uomini primitivi, per esempio, quando disegnavano le immagini di caccia sulle pareti delle caverne davano vita reale alla caccia, alle prede, ai pericoli, alle speranze.
Gli sciamani quando recitano le loro formule magiche mettono in movimento energie invisibili che compiono l'effetto richiesto.
Dare il nome ad una cosa significa trarla fuori dal nulla in cui era nascosta. Vuol dire farla esistere.
Il poeta questo fa.
Trae fuori dal nulla confuso, indistinto, dal magma caotico che c'è nell'animo dell'uomo e da vita alle cose dei poeti.

Le cose dei poeti sono i sentimenti.
Le parole dei poeti traggono fuori dal nulla confuso i sentimenti che abitano nella terra del caos che deve essere esplorata dentro l'animo umano.
Le parole dei poeti danno forma e contenuto e sostanza ai sentimenti dell'uomo.
Senza i sentimenti l'uomo sarebbe ridotto a mera materia, di poco più elevata del vivere istintuale delle bestie grazie al lume della razionalità.
Ma tutto sarebbe vano, senza direzione, senza scopo, senza meta.
Se un poeta non avesse coniato il sentimento dell'amore l'amore non esisterebbe.
Se un poeta non avesse usato quella parola non sarebbe potuto neanche esistere una Croce, un religione, una società, una famiglia, una coppia, un figlio.
Ci sarebbero solo branchi, stormi, mute, greggi, mandrie, sciami...
Non che a tutto questo possa mancare la bellezza.
Ma la bellezza sarebbe solo un vuoto contenitore esteriore.
Niente a che vedere con la realtà che c'è dentro "le parole".
Le parole sono pietre.
Le parole scavano nel legno dell'esistenza le forme della vita di ogni uomo.
Le parole dei poeti hanno la magia di rendere vero, sperimentalmente vero, il peso di quelle pietre.

Le parole dei poeti non sono neanche soggette alle regole del tempo.
Come le parole di Pasolini.
Non solo le sue parole erano pietre.
E non solo le sue parole davano vita e forma ed esistenza a qualcosa che confusamente già esisteva nella società, nell'animo degli uomini, già nel 1958-1959, quando furono scritti i versi dedicati alla bandiera rossa.
A rendere quei versi al di fuori da ogni dimensione del tempo degli uomini è la loro precisione profetica, la certezza di esistere, la loro assolutezza nell'essere veri.
I poeti possono vedere cose che noi esseri normali non potremo mai vedere.

I poeti sanno usare i colori. E alle volte sono veri pittori.
Era un poeta Pasolini. Come era un poeta Botticelli.
La vita reale, la materiale esistenza, il destino di passare su questa terra appartiene tanto ai versi sulla bandiera rossa quanto alla meravigliosa vergine che sta compiendo il suo primo viaggio per raggiungere questa terra, sul mare di Cipro.
Quella meravigliosa vergine sarà per sempre Venere, resa reale ed immortale nell'attimo stesso della sua nascita dall'arte del pittore.
Reale, vera, concreta è la Venere che nasce dai versi di Rilke, con cui chiuderò queste considerazioni.
Così, vera, vera poesia è quella di Pasolini che ha visto il dolente sventolio dei sentimenti dei più deboli, attaccati, abbracciati ai loro miseri stracci, come si trattasse di un gonfalone nobiliare al quale sacrificare la propria misera esistenza.

di Rainer Maria Rilke:
La nascita di Venere
In quell'alba (trascorsa era la notte
piena d'orgasmi, d'impeti e di grida)
il mare ancora si sconvolse. Urlò.
E come l'urlo si richiuse lento,
giù dai pallidi cieli mattutini
nel muto abisso celere piombando -
il mare generò.

Al primo sole scintillò di ricci,
ribalenò l'immenso equoreo pube.
Candida, in sé rattratta, umida ancora,
fuor dalle spume una fanciulla emerse.
Come la foglia verde appena messa
freme, si stira e languida si svolge,
così, per entro la frescura intatta,
nella fievole brezza del mattino,
a poco a poco il corpo suo si schiuse.

Fulgidi risalirono i ginocchi.
Sfere di luna, parvero: sommersi
nei nebulosi margini dell'anche.
L'ombra arretrò; scoprì gli agili stinchi.
Si protesero i piedi; e furon luce.
Come nel sorso palpita la gola,
ogni giuntura palpitò. Fu vita.

Entro il calice alcionio era quel corpo
come in mano di bimbo un fresco pomo;
e nel piccolo stimma a mezzo il ventre,
accogliersi parea tutta la tenebra
di quella immensa chiarità vivente.

Sott'essa risalìa, fievole e chiaro,
l'arco dei lombi, il flutto; e ricadeva,
ruscellando sommesso, a quando a quando.
Di luce intriso, non ancora ombrato,
come d'aprile macchia: di betulle,
si palesava ignudo il caldo pube.

Quindi si bilanciò la svelta linea
delle morbide spalle, equilibrata,
su lo stelo del corpo, che, diritto,
vibrò come zampillo. Alto, ricadde,
con lento indugio, nelle braccia lunghe,
precipitando in gonfie onde di chiome.

Il volto trapassò, piano, dall'ombra
del suo scorcio reclino, ecco, alla luce.
Eretto fu. Sott'esso, rilevato,
si conchiuse del mento il tondo giro.
Ma poi che il collo dardeggiò, vibrando
come uno stelo fervido di linfe,
anche le braccia s'agitaron tese,
colli di cigni all'erma sponda aneli.

Ed ecco: all'improvviso entro la grigia
alba sopita delle membra, corse
la prima brezza: un timido respiro.
Nel più sottile rameggiante intrico
delle trepide vene, un sussurrìo
flebile si levò: frusciò, sovr'esso,
il primo alacre scorrere del sangue.
Quindi, la brezza rinforzò. Fu vento.
Con tutto il fiato si gittò per entro
gli acerbi seni. Li gonfiò compresso.
Candide vele ricolme di spazio,
trassero, quelli, il lieve corpo a riva.

Ed approdò, la Dea.

Dietro di lei che per i lidi nuovi
- rapido il passo - procedea, balzarono
tutto il mattino i fiori e gli alti steli:
ardenti ed ebri, quasi appena dèsti
da una notte d'amplessi.
Ed ella andava,
velocemente lontanando in corsa.

Ma nell'ora più calda - a mezzo il giorno
anc&oaute;ra il mare si sconvolse, urlando.
Un delfino gittò; dai flutti stessi,
porpora enorme: esanime, squarciato.